-Adamo ed Eva, 1504, incisione su rame-
«Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti» (Genesi, 2.16)
Questo è il comando che Dio padre diede all'uomo. Ma capì veramente cosa significasse la morte? No, l'uomo non lo capì. Di tale parola non ne era a conoscenza, egli, fatto ad immagine e somiglianza del Padre; non conosceva né il bene, né il male, vedeva il mondo nella sua beltà con gli occhi di Dio.
Ma perchè allora quell'albero, quella tentazione? "Solo" per dare all'uomo la libertà di scegliere?
Nella narrazione si possono scorgere i vizi capitali: l'invidia dapprima del serpente per Adamo ed Eva, poi la gola: «Allora la donna vide che l 'albero era buono da mangiare», A questo punto si inserisce la superbia: «gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e ne mangiò.». La superbia è il peggiore "abito del male" (come chiama i vizi capitali Aristotele) che porterà l'uomo a dire la peggiore bestemmia: "Diventerò Dio!" Ma quando la mangiò esso prese coscienza della propria nudità, della vergogna e di aver fatto il male: «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». (Genesi. 3.7-11)
Ed ecco poi lanciarsi "l'anatema" sulla stirpe umana che cela tuttavia l'amore di Dio:
Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà».
All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!». (Genesi, 3.16-20)
All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!». (Genesi, 3.16-20)
A parte l'indiscutibile bellezza del racconto, voglio approdare alla mia conclusione o provocazione:
Come si sarebbe potuto giustificare Dio se fossimo rimasti in quello stato di grazia, di immortalità, di pienezza e godimento? Se non esistesse il dolore e la morte come ci si potrebbe ricordare che non siamo altri che parte della natura e che come essa deperiamo? Tout court, arrivo a dire che il peccato originario è condizione necessaria dell'uomo per riconoscere e giustificare Dio...
...ma non faccio in tempo a formulare questa avvincente tesi, che la mia coscienza ipertrofica me la smentisce seccamente...
-Luca Mazzucco
Il libro della Genesi online: qui
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